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19 giugno 2009 5 19 /06 /giugno /2009 10:24

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato di aver inviato in Libia un’equipe di esperti che dovranno valutare la situazione riguardante una sospetta epidemia di peste bubbonica, che stando alle stesse autorità del paese si starebbe diffondendo nella zona della città Tobruk. I vertici di Tripoli hanno inoltre reso noto il numero dei primi casi, che per il momento si attestano tra i 16 e i 18.

Vent’anni dopo l’ultimo episodio di peste, la Libia torna quindi a dover fare i conti con la pericolosa malattia, che solitamente viene trasmessa da insetti, in particolar modo dalla pulce del ratto, e si presenta con fastidi alle articolazioni e ai muscoli, febbre, nausea e ingrossamento delle ghiandole. Intanto John Jabbour, specialista dell’Oms al Cairo, ha spiegato che l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ha ancora chiarito al meglio la situazione e solo domani partirà la missione sul campo per definire al meglio lo stato delle cose e prendere così delle contro misure. Sempre Jabbour ha infine ricordato che nel XVI secolo la peste nera provocò 75 milioni di vittime, per la maggior parte residenti in Europa, e che la stessa città di Tobruk più di recente ha dovuto affrontare già un’altra emergenza dovuta sempre alla peste bubbonica.

 

Liso Pietro

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18 giugno 2009 4 18 /06 /giugno /2009 09:28

Dando il benvenuto a Terra, il nuovo quotidiano ecologista che dedica un approfondimento alla pericolosità delle polveri sottili nelle metropoli, rispolvero la questione del Pm10, il killer silenzioso che uccide circa 8000 italiani all’anno, senza che nessuno se ne preoccupi. Diversi studi epidemiologici hanno accertato la correlazione tra le polveri di Pm10 e un incremento dei decessi dovuti a malattie cardio-repiratorie, quali infarti, ictus, casi di cancro al polmone.
Secondo i dati di uno studio dell’Apat e dell’Oms del 2006, che ha analizzato gli effetti a lungo termine dell’esposizione dell’essere umano alla polveri di Pm10, nelle città italiane il Pm10 è la causa della morte di circa 8 mila persone all’anno, stroncate da patologie croniche dell’apparato respiratorio o da improvvisi problemi del sistema cardio-circolatorio: tra i più colpiti, bambini ed anziani. L’inquinamento da polveri sottili uccide, eccome se uccide. Le polveri Pm10 sono molto sottili e rimangono nell’aria per diversi giorni: sono composte da alcune sostanze tossiche e cancerogene che non vengono filtrate dalle narici, finendo nei bronchi e arrivando negli alveoli.
D’altra parte, le stesse ricerche indicano anche il trend positivo, ovvero l’allungamento dell’aspettativa di vita direttamente proporzionale alla riduzione della concentrazione di Pm10: ad ogni riduzione di 10 microgrammi per metro cubo di Pm10, corrisponde un aumento dell’aspettativa di vita di circa sei mesi. Lo stesso dato, visto al contrario dovrebbe far scattare l’allarmismo generale e destare l’attenzione del mondo politico, affinché ci si attenga ai limiti di legge europei e si limitino le emissioni di Pm10, l’assassino a cui nessuno fa caso.

Carlitos

 

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12 giugno 2009 5 12 /06 /giugno /2009 10:10

Gentilissimo direttore de “L’espresso” e gentile redazione,
sono Marco Imperato e faccio il magistrato distrettuale requirente presso la procura generale di Bologna (attualmente sono applicato con la funzione di sostituto procuratore della repubblica presso la procura di Bologna).
Vi inoltro questa lettera che vorrei mandare al nostro presidente del consiglio in merito alle sue recenti affermazioni relative alla funzione che svolgo da alcuni anni (sono entrato in magistratura nel 2002, poi sono stato 4 anni a Marsala e da un anno lavoro in Emilia Romagna).
Vi ringrazio per l’attenzione che le vorrete dare.
Buon lavoro
Marco Imperato

Gentile Presidente del Consiglio,

Lei ha detto in più occasioni pubbliche, seppure con il tono goliardico di una boutade, che ritiene che fare il pubblico ministero (pm, i magistrati requirenti) consista nel fare del male. L’astio e la sfiducia che rivolge a questa specifica parte della magistratura (salvo attaccare anche i giudici che non la ritengono estraneo ai fatti che le vengono contestati…) mi fa pensare che la battuta sia sintomatica di un pensiero radicato realmente in Lei e che la sua posizione e popolarità diffonde o quanto meno insinua anche nell’opinione pubblica.
Questa sensazione mi viene confermata anche dal fatto che lei sempre più spesso si riferisce a questa parte della magistratura come gli “avvocati dell’accusa”, rivelando così il suo punto di vista: il ruolo dei pm è quello di indagare, sono dei poliziotti con la toga il cui scopo è trovare i colpevoli e il cui unico successo è la condanna dell’imputato.
In altre parole, un duro giustiziere che distribuisce male a chi lo commette, ma che nel fare ciò incappa anche in errori e così passa sopra anche la pelle e la vita di sfortunati innocenti che diventerebbero le vere vittime del processo.

No, signor Presidente. Per fortuna non è così.
Non è così per il sottoscritto, che sognava da quando aveva 14anni di fare questo lavoro proiettando i sogni e gli ideali di un giovanissimo ingenuo.
Non è così per la grande maggioranza dei colleghi che incontro e conosco in giro per l’Italia.
Ma soprattutto non è così per la Costituzione.
Non sono pagato, come lei ha lasciato intendere, per torturare psicologicamente i poveri imputati che trascino fino in Cassazione.

Il mio lavoro è innanzitutto quello di cercare la verità (con la v minuscola, per carità).
Per questo ho deciso di non fare la professione bellissima e affascinante dell’avvocato: perchè mi volevo e mi voglio sentire sempre libero di poter cercare solo la verità.
Non mi interessa la pressione dell’opinione pubblica che vuole un capro espiatorio, non mi devo preoccupare della necessità di portare a termine delle operazioni da parte delle forze di polizia: il successo del mio lavoro è rappresentato solo dal raggiungimento della verità processuale, dalla ricostruzione in tempi ragionevoli e con il rispetto delle norme di quanto è successo, così che la vittima trovi risposta alla sua istanza di giustizia e di difesa e che l’indagato debba rispondere solo di ciò che ha colpevolmente commesso, avendo tutte le opportunità che la legge italiana garantisce per difendersi e spiegare la propria versione dei fatti.
Spesso è davvero difficile prendere delle scelte e sebbene le decisioni finali appartengano solo ai giudici, io stesso, sentendomi magistrato prima ancora che pm, cerco di assumermi il peso della decisione facendo così richieste oggettive e solide, e non ispirate solo da una logica accusatoria (cosa che dall’altra parte dell’aula di udienza il difensore non si potrebbe permettere di fare specularmente, dovendo innanzitutto difendere al meglio gli interessi e la posizione del proprio assistito).

Il giorno in cui ho giurato sulla Costituzione (unico vero faro del nostro lavoro) sapevo che essendo un essere umano e come tale limitato e fallibile nonostante le mie migliori intenzioni, avrei commesso degli errori: questo vale per tutte le professioni ma ero e sono consapevole che commettere un errore nel mio lavoro può comportare gravi sofferenze e conseguenze per la vita delle persone.
Mi assumo la responsabilità di quello che faccio e la mia funzione pubblica può e deve essere sempre di più soggetta alla valutazione di professionalità (come previsto in maniera ancora più pressante dalle recenti riforme) e soprattutto il sistema prevede che ci siano molti altri soggetti che intervengono a controllare il mio operato (avvocatura) e prendere decisioni (i colleghi giudicanti dei vari gradi).
Il fatto poi che debbano potersi impugnare anche le sentenze di assoluzioni in primo grado (cosa che lei ha di recente nuovamente contestato) deriva dall’ovvia osservazione che anche il giudice può sbagliare e quindi anche lui deve sottostare alle verifiche di appello e cassazione volte a limitare entro i limiti dell’umanamente possibile errori giudiziari (salvo pensare che i pm siano antropologicamente diversi, ma anche questo riesce difficile poichè sono selezionati insieme ai futuri colleghi giudicanti con un concorso molto selettivo e basato principalmente su prove scritte teoriche).

C’è poi un altro aspetto del mio lavoro che lei dimentica: la difesa delle vittime e delle loro istanze di giustizia e protezione.
Per me fare il pm vuole innanzitutto dire porre la mia professionalità al servizio del Paese per combattere le ingiustizie, difendere con la legge coloro che subiscono prepotenze e violenze: “la legalità è il potere dei senza potere”, disse lo statista ceco Dubcek.
La donna che subisce violenze, il cittadino vittima di una rapina o di una truffa, il bambino abusato, l’imprenditore derubato da qualche furbetto, la famiglia straziata dal dramma della droga e quella orfana di un lavoratore morto in cantiere per il mancato rispetto della legge… sono queste le persone che affidano alla magistratura la loro speranza di giustizia, che non dovrebbe esaurirsi nella punizione del colpevole.
Il male non è l’obiettivo del mio lavoro… bensì il suo nemico, signor Presidente.
E non separare le carriere per restare parte di un unico ordine insieme ai miei colleghi giudici ha proprio il principale merito di ricordare a noi pm che siamo anzitutto dei magistrati, che siamo soggetti solo alla legge e il nostro unico obiettivo è la ricerca della verità nella lotta contro le ingiustizie.
Gli eccessi negativi di quei pm troppo votati solo all’accusa e che difettano di serenità e della capacità anche di cambiare idea in base alle emergenze probatorie sono figli proprio di un atteggiamento poliziesco di colui che si sta dimenticando la stella polare della Costituzione e rischia così di dimenticarsi che il grande potere che gli è dato è solo in vista dell’affermazione della legalità: sarebbe opportuno rifletterci profondamente quando si invoca la separazione delle carriere, che rischierebbe infatti solo di aggravare il problema che si dice all’opinione pubblica di voler risolvere.

Per queste ragioni continuo a credere che il mio lavoro sia tanto difficile e delicato quanto appassionante, consentendomi di guadagnarmi da vivere non dovendo pensare al mio tornaconto personale ma solo al servizio e nell’interesse della collettività e dell’affermazione della legalità.
Spero che quando i miei piccoli due maschietti saranno cresciuti fare il pm in Italia continui a significare questo.

Cordiali saluti,
Marco Imperato
magistrato (e pubblico ministero per ora…)

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9 giugno 2009 2 09 /06 /giugno /2009 12:33

Leggendo queste notizie mi accorgo che ogni giorno cadiamo sempre più in basso.La società ci impone di pensare che dobbiamo vivere come entità separate dalla società, prima c’è il nostro interesse personale poi “forse” c’è inizia quello del nostro vicino. Si parla di libertà pensando solo alla nostra.Iniziamo a pensare alla libertà degli altri e alla fine saremo veramente liberi anche noi.

By clod


Una maxi operazione di polizia per contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina si è svolta fra la notte e l’alba in sedici città italiane e anche in sette Paesi europei.

Decine gli arresti che gli uomini della squadra Mobile di Venezia e del servizio centrale Operativo (Sco) hanno eseguito nei confronti dei membri di un’organizzazione criminale transnazionale, con base nella regione iraqena del Kurdistan, ma con diversi gruppi attivi in Italia, che negli ultimi tre anni avrebbe fatto entrare in Europa migliaia di clandestini curdi.

Contestualmente all’operazione nel nostro Paese, arresti sono andati in scena anche in Francia, Inghilterra, Germania, Belgio, Svizzera, Grecia e Svezia, in esecuzione di mandati d’arresto europei.

Gli indagati devono rispondere, tra l’altro, di associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’indagine è partita nel 2006 in seguito agli accertamenti fatti su un gruppo di clandestini bloccati a Venezia.

Le basi principali dell’organizzazione erano in Iraq e Turchia, anche se i gruppi operativi erano sparsi in diverse nazioni europee, in modo che ogni Paese - sia di transito sia di arrivo - fosse “coperto” da membri dell’associazione.

Frequenti, inoltre, erano i passaggi dei singoli membri da uno Stato all’altro, sia per evitare di finire nella rete delle polizie europee sia per la necessità dell’organizzazione di rafforzare i gruppi presenti in uno dei Paesi, in vista di un nuovo arrivo di clandestini.

Grazie alle intercettazioni e alle dichiarazioni rese da alcuni immigrati bloccati dalle forze di polizia, è stato possibile ricostruire la rotta seguita per raggiungere l’Italia: i migranti arrivavano dall’Iraq in Turchia, dove venivano nascosti in appartamenti o cantine, in attesa di proseguire il viaggio verso la Grecia, nascosti nei tir o anche a piedi.

Dalla Grecia, i clandestini arrivavano in Italia a bordo di traghetti di linea diretti a Venezia, Ancona, Bari e Brindisi, anche in questo caso nascosti all’interno dei camion; in alcuni casi, i clandestini partivano direttamente dalla Turchia, raggiungendo poi il nostro Paese a bordo di “carrette del mare”.

Una volta in Italia, venivano presi in consegna dall’organizzazione, che provvedeva a trasferirli verso i Paesi di destinazione, soprattutto Germania e Svezia, ma anche Francia, Svizzera, Gran Bretagna e Norvegia.

L’organizzazione, secondo quanto riferito dagli inquirenti, era «stabile, efficiente e strutturata», ben ramificata in tutta Europa, con referenti nei vari Paesi e in grado di presentarsi come «punto di riferimento» per altre organizzazioni coinvolte nella tratta di esseri umani.

Nel nostro Paese, in particolare, operavano diverse cellule - a Roma, Milano, Rimini, Ancona, Como, Venezia, Bolzano - collegate tra loro e ognuna con specifiche «zone d’influenza» e un forte «controllo del territorio».

L’associazione, hanno infine accertato le indagini, non esitava a mettere a rischio la vita degli immigrati, e in almeno un caso si sono registrate delle vittime: sarebbe avvenuto a Venezia, il 14 luglio del 2007, quando gli investigatori hanno trovato i cadaveri di quattro clandestini morti per asfissia in seguito alla rottura dell’impianto di refrigerazione del tir in cui erano nascosti.

Posato su SECOLO XIX.it

"Le strategie di prevenzione nella lotta al traffico di esseri umani sono poche e scollegate", ha dichiarato Helga Konrad, Rappresentante Speciale dell'OSCE per la lotta al traffico di esseri umani. "Il rapporto dimostra che non vi è una strategia esaustiva di prevenzione di lungo periodo. Eppure la prevenzione è la chiave di successo per frenare questo fenomeno criminale".

La ricerca mette in luce la natura mutevole del fenomeno, con donne e bambine che sono, in misura crescente, oggetto di traffico all'interno dei confini nazionali, mentre la tratta degli uomini avviene sempre di più per sfruttarne la forza lavoro.
 
Ma ancor più rilevante è che coloro che vengono riconosciuti come vittime del traffico spesso rifiutano l'assistenza loro offerta, dal momento che non vogliono far ritorno ai rispettivi paesi d'origine.

 

 

Le nuove forme del traffico di esseri umani

 

Il rapporto analizza due scenari apparentemente contraddittori. In base al primo, il traffico d'esseri umani nella regione è in diminuzione dal momento che si registra una riduzione significativa del numero di vittime assistite.

Nel secondo scenario, il fenomeno non è affatto in calo, ma è semplicemente divenuto meno visibile, per la minore disponibilità delle vittime a ricercare assistenza, per timore di essere rimpatriate, deportate e divenire oggetto di riprovazione sociale.

"E' il momento di indicare in modo chiaro dove sono stati raggiunti dei progressi", ha affermato Helga Konrad. "Un approccio coordinato al problema è fondamentale per conseguire soluzioni efficaci e sostenibili
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30 maggio 2009 6 30 /05 /maggio /2009 13:09

 

 

 

 

Non passa giorno che non sentiamo o leggiamo notizie che riguardano i bambini  e le bambine e gli abusi sessuali che  subiscono, ignominie di tutti i tipi, le cose più schifose e vergognose alle quali non penseresti mai.  31 marzo: bimba di 11 anni fa arrestare il pedofilo settantenne di Torino che la molestava insistentemente, e non era la sola ad essere perseguitata ma anche altre sue due amichette. Il maiale (con tutto rispetto per la razza animale) si appostava nei pressi delle scuole medie per adescare le sue vittime. 1 aprile: romano di 26 anni arrestato perchè palpeggiava una bambina di 10 anni rimasta da sola davanti ai camerini di un negozio di Ciampino ad aspettare i genitori che provavano degli abiti. 2 aprile: a Matera un 61 enne abusava sessualmente di due bambine di 6 e 7 anni con la compiacenza delle mamme di queste, di 38 e 39 anni, ambedue amanti del mostro, tutti e tre arrestati; sono senza parole!

 

2 aprile: un dipendente pubblico di 51 anni, Salvatore Bracco, e un disoccupato di 42 anni, Giovanni Bonafè (stranamente sono stati fatti i loro nomi), arrestati per violenza ripetuta su due ragazzini di 13 e 15 anni, ripagati questi ultimi con figurine, ricariche telefoniche ed altro.  Sono le ultime quattro notizie in ordine cronologico, ma purtroppo questi fatti vengoni registrati tutti i santi giorni, ed ogni volta proviamo orrore e disgusto, non riusciamo più a tollerarle.

Le violenze sui minori da parte di persone malate (definiamole cosi  altrimenti rischiamo di diventare troppo volgari)  avvengono da sempre, soprattutto  in certi ambiti familiari dove le condizioni sono di sottosviluppo e di povertà, ma per paura e per vergogna di chi le subisce, sono state sempre circoscritte. Oggi invece per fortuna, i fatti vengono denunciati, smascherati, i bambini raccontano tutto a dispetto delle minacce ricevute dagli orchi per non parlare. Anche gli organi di informazione rendono più visibili queste nefandezze.

Le reazioni della gente sono forti. Di sicuro la prima cosa che in modo istintivo viene in mente è il desiderio di poter avere fra le mani i responsabili di ciò che hanno fatto o tentato di fare a quel bambino o bambina, che potevano essere nostri figli, e far rivivere loro  le medesime orrende sensazioni che hanno fatto provare alle loro vittime, e cioè il dolore, lo sconforto, la paura, la disperazione di essere stati traditi dalle stesse persone di cui avevano fiducia, la sensazione di non potersi difendere dalla violenza che stanno  subendo. E poi la tentazione sarebbe di affidare il mostro alla folla per la giusta punizione. Ma rimane solo una tentazione perchè la nostra coscienza (quella che gli schifosi non hanno) ce lo impedisce, contiamo fino a dieci, ed il senso civico e democratico hanno il sopravvento.

Ed ecco che intervengono gli avvocati difensori con i loro cavilli, i sociologi, i psichiatri, si danno un gran da fare per capire in che ambiente  ha vissuto il “povero malato pedofilo”, il suo contesto familiare, si cerca di aiutarlo, di guarirlo, di recuperarlo…e probabilmente fanno bene, è il loro mestiere.  Però succede che il più delle volte, il pedofilo si fà un pò di carcere, un pò di ospedale psichiatrico, e quando esce sovente rifà esattamente le stesse cose. Non è sempre così, ma se e quando succede, dovrebbero pagare anche coloro che gli hanno permesso di ripetere le violenze, giudici o medici che siano, perchè a quel punto ne diventerebbero complici. E ai bambini traumatizzati, violentati, con una vita davanti che potrebbe essere distrutta, compromessa per sempre, chi ci pensa? Togliere la vita ai bambini in quel modo è mostruoso.

 

Quando si ha l’assoluta certezza della colpevolezza del soggetto che si macchia di un crimine così orribile, la pietà ed il perdono diventano retorica. I cancri devono essere estirpati. A seconda della gravità dei fatti, deve essere applicata  una pena inequivocabilmente certa, senza sconti, carcere duro sino ad arrivare all’ergastolo, la pena di morte sarebbe troppo comoda. Castrazione chimica? Chirurgica, come chiede Calderoli? Ma di questo parleremo una prossima volta.

L’unica cosa certa è che non bisogna mai lasciare i bambini da soli né perderli di vista un solo istante, devono essere seguiti e accompagnati in ogni azione della giornata. Viviamo in un brutto mondo.

 

Pubblicato in Noiblogger

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29 maggio 2009 5 29 /05 /maggio /2009 11:45
http://www.youtube.com/watch?v=NLQstgh9nmU
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26 maggio 2009 2 26 /05 /maggio /2009 11:04

di Carlo Cipiciani (Comicomix)

 

Berlusconi nella gestione del terremoto in Abruzzo è riuscito a spiazzare tutti quelli che lo aspettavano convinti che è un uomo capace solo di fare promesse e non di mantenerle. Perché stavolta ha mantenuto alla lettera la sua promessa di non ripetere le esperienze precedenti

Sì, Berlusconi stavolta ci sta sorprendendo. Abituati come siamo alle sue uscite estemporanee, alle sue “genialate” un po’ sopra le righe, che provvede sempre a smentire alla velocità della luce, non avevamo creduto alle sue chiacchiere alla prova del terremoto, scettici quando ha detto che una nuova L’Aquila sarebbe stata ricostruita in 28 mesi. E soprattutto, quando ha detto, a distanza di poche ore dalla scossa del 6 aprile: “Nella ricostruzione dell’Abruzzo non faremo come in passato“.

Sì, eravamo un po’ esterrefatti: perché in passato ci sono stati casi indubbiamente da dimenticare, come la ricostruzione  dopo il terremoto dell’Irpinia, ma anche esempi di successo: dalla ricostruzione del Friuli, che fu completata con successo in poco più di 10 anni e con la soddisfazione della popolazione, al caso più recente, quello della ricostruzione in Umbria e nelle Marche, pressoché completata in questi 10 anni con la messa in sicurezza di una zona ad alto rischio sismico.

Il premier ha fatto grandi promesse: una ricostruzione veloce e al 100%, in cui le risorse sarebbero state trovate dal ministro Tremonti in modo rapido ed efficace, e soprattutto senza mettere le mani nelle tasche degli italiani con nuove tasse. Ha sfidato tutti - compresi gli amministratori locali e le popolazioni, che non ha voluto neppure disturbare chiedendo il loro parere in proposito - con il suo sogno di una new town per l’Aquila.

Pieni di pregiudizi quali siamo, abbiamo atteso il governo alla prova dei fatti, ma già sicuri che queste promesse sarebbero state smentite. Che anche Berlusconi, insomma, come era avvenuto nelle altre ricostruzioni, anche in quelle meglio riuscite, non sarebbe riuscito ad evitare i disagi, i problemi, le incongruenze, le difficoltà di un’attività complessa e difficile come la ricostruzione di un’area vastissima colpita da un grave sciame sismico.

E invece, siamo qui a chiedere scusa al nostro premier, perche dobbiamo ricrederci. Berlusconi davvero non ha fatto come hanno fatto in passato. Ha stupito tutti con le sue profonde innovazioni. Nessuno tranne lui avrebbe mai pensato a spostare la sede del G8 a L’Aquila terremotata, sovrapponendo la difficile opera di gestione dell’emergenza post sisma e delle tendopoli con l’organizzazione di un evento che comporta attività logistiche, di sicurezza, di ordine pubblico abbastanza straordinarie, trasformando il terremoto in una  straordinaria passerella mediatica. Per questo gli chiediamo scusa.

Chiediamo scusa a Berlusconi perché effettivamente non era mai successo che un governo italiano, dopo un terremoto che ha lasciato senza una casa oltre 20 mila persone, varasse un decreto che passerà alla storia come il decreto abracadabra, in cui non era in origine garantita la ricostruzione del 100% della propria casa ma solo un contributo di 150 mila euro (ovviamente, senza tener conto che ci sono persone più ricche, o case più grandi, o situazioni più complesse). E che anche ora, dopo le correzioni fatte in parlamento, non sono previsti soldi per tantissime seconde case presenti in Abruzzo, che nei casi frequenti di condomini rischiano di bloccare la ricostruzione per anni in contenziosi tra proprietari vicini di casa, che forse non hanno i soldi per ricostruire la loro seconda casa in assenza di contributi.

Non era mai successo che si decidesse di lasciare la gente in tenda per molti mesi, anziché sistemarla velocemente in container in attesa di una casa provvisoria, e che un governo prevedesse stanziamenti modulati su due anni avendo già chiaro che buona parte delle persone resterà in tenda non solo nella torrida estate - con diversi problemi sanitari che stanno già esplodendo nell’ospedale da campo  - ma anche nel gelidissimo inverno abruzzese. Anche perché, dice Alessandro Martelli dell’Enea, a parte i soldi, non ci sono i tempi tecnici per costruire questi moduli abitativi in sicurezza entro novembre, perché “Il cemento armato, dopo essere gettato in fondamenta, ha un tempo di maturazione di 28 giorni durante il quale non è possibile nessun tipo di operazione. E ammettendo anche che entro 2 mesi le migliaia di isolatori necessari siano prodotti, la legge antisismica prevede che ne vengono sottoposti a controllo di qualità in fabbrica almeno il 20% e non ci sono i tempi sufficienti“.

Non era mai  successo che di fronte all’incertezza sui tempi di costruzione delle C.a.s.e., gli innovativi alloggi temporanei fantastici (che più che fantastici sembrano fantasmici), il comune de L’Aquila decidesse con una sua delibera (la n.147) una specie di “si salvi chi può fai da te“, consentendo a chiunque abbia un cortiletto, una piazzola, un bordo strada libero di realizzare, naturalmente a proprie spese, un box, una casetta in legno, un container o una baracca. E non era mai successo che si arrivasse all’emergenza rifiuti perché non vengono erogati i soldi all’amministrazione comunale per garantire i servizi.

Insomma, ammettiamolo: Berlusconi è riuscito a stupirci anche stavolta. Poteva avviare una rapida ricostruzione in emergenza per togliere subito la gente delle tende e sistemarla in moduli abitativi temporanei il più vicino possibile alle proprie case, e contemporaneamente creare consorzi tra tutti i proprietari di prime e seconde case con contributo commisurato al reddito e alla superficie abitativa, e comunque pari al 100% per la prima casa. Ma lui non è scienza, è fantascienza. Lui ha mantenuto la sua promessa. Non ha fatto come in passato. E’ riuscito a fare molto, ma molto peggio.

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16 maggio 2009 6 16 /05 /maggio /2009 15:29

E’ una lettera aperta per esortare i candidati alle elezioni provinciali a impegnarsi per risolvere questa situazione.
Facciamogli sapere quali sono i veri problemi di Taranto e cosa ci aspettiamo da loro. Non sono ammesse chiacchiere e promesse fasulle.

Taranto subisce una situazione disastrosa, l’inquinamento più elevato d’Europa, malattie gravissime (leucemie, linfomi e tumori respiratori) ed una crisi economica spaventosa.
Bisogna avere la consapevolezza della gravità del problema e cercare un cambiamento importante per questa città.
L’economia basata sull’acciaio ha devastato questa città per 40 anni, dal punto di vista sanitario, ambientale, economico e sociale.
Dobbiamo pretendere la riconversione dell’area industriale dell’Ilva e l’uso delle risorse
finanziarie per riassorbire la manodopera verso attività economiche alternative.
Seguiamo l’esempio di Genova e Bagnoli, che hanno visto la chiusura e la riconversione dell’Ilva negli anni passati.
Dobbiamo pretendere un futuro migliore!
Questo sito serve ad approfondire l’iniziativa in corso:
http://snurl.com/referendumilva


Possiamo inviarla per posta elettronica, tramite facebook, possiamo stamparla e distribuirla agli amici e conoscenti chiedendogli di fare altrettanto.

Con preghiera di diffusione. Grazie.

Qui trovate la lettera da scaricare:
http://referendumilva.files.wordpress.com/2009/05/letteracandidati.pdf

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6 maggio 2009 3 06 /05 /maggio /2009 19:04

1. Perché una riforma elettorale tramite il referendum?
L’approvazione della legge elettorale (l. n. 270 del 2005) è stata accompagnata, sin dall’inizio, da numerose critiche, delle quali, tuttavia, nessuno è riuscito a farsi carico. Le proposte di miglioramento da tutti auspicate, non hanno trovato riscontro nei dibattiti parlamentari.
Lo strumento referendario, dunque, sembra l’unico in grado di raggiungere il duplice obiettivo di modificare, in senso migliorativo, la legge ed al contempo riaprire il relativo dibattito, anche in vista di un eventuale intervento legislativo.
Si tenga presente, inoltre, che le uniche modifiche sistematiche delle leggi elettorali e del sistema politico centrale sono state sempre approvate per via referendaria (con i referendum del 1991 e del 1993).

2. Non pensa che sia ormai impossibile raggiungere il quorum?
Credo sinceramente di no. Questo referendum non è un referendum qualunque. Ha ad oggetto, infatti, una legge di sistema, che è alla base del funzionamento della democrazia rappresentativa. In altre parole, se si approvasse questo referendum, la vita parlamentare funzionerebbe meglio e, di conseguenza, sarebbe sempre meno necessario ricorrere ad un’altra tipologia di referendum, quelli che intervengono laddove il Parlamento non è stato in grado di rispondere alle esigenze del Paese. La nostra iniziativa si propone di scardinare un’idea oligarchica e paternalistica della politica, colpendo il cuore dei meccanismi di ricambio della classe dirigente, ed incontra la pressante domanda di modernizzazione rivolta a tale scopo. È, inoltre, coerente con un’idea dell’Italia come il paese delle opportunità e non delle rendite, della competizione e non della cooptazione. Per questi motivi non vi è ragione di ritenere che l’elettorato non coglierà l’occasione per essere partecipe di tale auspicato processo di modernizzazione.

3. Qual è l’oggetto dei quesiti?
Il primo quesito riguarda l’abrogazione delle coalizioni (approfondimento).
Secondo l’attuale legge elettorale di Camera e Senato (così come introdotta con l. legge n. 270 del 2005) a beneficiarie del premio di maggioranza possono essere alternativamente “liste” o “coalizioni di liste”. Il I quesito si propone di abrogare la disciplina che permette il collegamento tra liste. In caso di esito positivo la conseguenza sarebbe che il premio di maggioranza verrebbe attribuito solo alla lista singola (e non più alla coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. E, di conseguenza, verrebbero innalzate le soglie di sbarramento, che sarebbero ad essere del 4% per l’accesso alla Camera e dell’8% per essere rappresentati in Senato.
Un secondo quesito (approfondimento) è relativo al divieto di candidature plurime in più di una circoscrizione per uno stresso candidato.
Esso mira a colpire l’ulteriore aspetto di scandalo rappresentato dalle candidature multiple e dalla cooptazione oligarchica della classe politica. L’eletto in più circoscrizioni, cd. “plurieletto”, è infatti signore del destino di tutti gli altri candidati, la cui elezione dipende, appunto, dal fatto che egli, scegliendo uno dei seggi che ha conquistato, lascia liberi gli altri. Il fenomeno descritto è oggi di dimensioni tali che non sembra inopportuno parlare di una vera e propria patologia del sistema. Basti pensare che ben 1/3 dei parlamentari attualmente in carica sonop stati “eletti” per grazia ricevuta. Tutto ciò induce inevitabilmente ad atteggiamenti di sudditanza e di disponibilità alla subordinazione dei cooptandi, atteggiamenti che danneggiano fortemente la dignità e la natura della funzione parlamentare. Per questa ragione è auspicabile l’eliminazione – sempre mediante referendum - della facoltà di candidature multiple sia alla Camera che al Senato.

4. Quali sono i motivi ispiratori della proposta referendaria?
Unità e trasparenza.
Quanto al primo obiettivo, il sistema elettorale risultante dal referendum spingerebbe gli attuali soggetti politici a perseguire, sin dalla fase preelettorale, la costruzione di un unico raggruppamento, rendendo impraticabili soluzioni equivoche ed incentivando una significativa ristrutturazione del sistema partitico. Si aprirebbe, per l’Italia, una prospettiva tendenzialmente bipartitica, con conseguente eliminazione della frammentazione dentro le coalizioni.
La proposta referendaria va incontro, inoltre, ad un’esigenza di trasparenza, la quale è realizzabile tramite l’eliminazione della facoltà di candidature plurime sia alla Camera che al Senato.

5. Che cosa succederebbe al sistema politico italiano se venisse approvato il referendum?
L’approvazione del referendum produrrebbe un radicale rinnovamento dell’attuale sistema elettorale – e, attraverso quello, del sistema politico – in grado di assicurare all’intero contesto politico più trasparenza, agli schieramenti più unità, ai cittadini più opportunità di spendersi per far valere le proprie capacità e meriti. L’eliminazione del frazionismo e dello sbriciolamento della rappresentanza, garantirebbero una ristrutturazione profonda del sistema dei partiti. I quali sono sempre più avvitati su se stessi e stentano ad operare qualsiasi ricambio.
Selezionano le proprie classi dirigenti in base a criteri poco trasparenti che spesso non hanno nulla a che vedere con il merito, le capacità o la passione disinteressata.
I partiti, inoltre non riescono a realizzare l’unità negli schieramenti, con una strisciante, continua guerra di posizione ed uno scontro di paralizzanti veti incrociati, all’interno delle coalizioni.
I partiti sono divisi e l’attuale legge elettorale ha ancor più esasperato le tendenze alla divisione e alla frammentazione.
Tutto ciò è un freno per il cambiamento e impedisce di realizzare politiche ambiziose che migliorino effettivamente la nostra qualità di vita di cittadini comuni.
L’auspicio è quello di partiti aperti, sensibili ai flussi di novità che provengono dalla società e più capaci di resistere alle pressioni degli interessi consolidati.
Partiti responsabili, capaci di realizzare obiettivi, di innovare, di inventare il cambiamento.
Partiti dinamici, che non cedano alla tentazione di ripiegarsi su se stessi, di diventare oligarchie autoconcluse sorde al futuro.
Per ciò crediamo che ci sia un modo migliore di scegliere i parlamentari, evitando cosi’ che centinaia di essi siano nominati per grazia ricevuta da chi già è stato eletto.
Per ciò crediamo che gli attuali partiti debbano rimettersi in gioco e reinvestire le proprie tradizioni in qualcosa di più grande e di più coeso: soggetti unitari che si candidino a guidare il Paese, impiegando il proprio tempo nella realizzazione degli obiettivi promessi.

6. Qualcuno obietta che il referendum sarebbe inutile perché i partiti si alleerebbero in un grande listone per poi dividersi dopo le elezioni.
L’obiezione muove dall’assunto che i sistemi elettorali siano del tutto ininfluenti sui comportamenti dei partiti e degli elettori. I partiti italiani, in particolare, troverebbero il modo di “aggirare l’ostacolo” unendosi fittiziamente per poi ridividersi dopo. Come dire: fatta la legge trovato l’inganno.
Tuttavia, gli studiosi sono concordi nel ritenere che i sistemi elettorali non siano assolutamente irrilevanti sul modo in cui si strutturano il sistema dei partiti ed i comportamenti elettorali. Si può discutere sul tasso di incidenza delle regole, ma nessuno ha mai messo in dubbio la connessione tra regole e politica.
Penso che ormai il modello delle democrazie avanzate in cui due principali soggetti si contendono la guida politica del paese - fermo restando uno spazio per partiti minori non coalizzabili - sia ormai interiorizzato anche in Italia
Trovare sulla scheda 15 simboli di partito per una sola coalizione (della quale manca, peraltro simbolo, nome, e leader) è cosa ben diversa che trovare un simbolo unico, un nome solo, l’indicazione di un solo candidato a Primo Ministro. Certo, i partiti potranno sempre “sganciarsi” dopo. Soprattutto fin quando non introdurremo in Italia regole come quelle tedesche che interpretano il principio del libero mandato parlamentare in modo meno trasformistico. Ma quali saranno i costi politici di rompere un’aggregazione suggellata da elettori che hanno votato il “tutto” e non le singole parti? Non solo, ma l’assenza dei simboli dei singoli partiti impedirebbe loro di potere censire il proprio consenso. Il che non è di poco conto, perché li priva del potere di ricatto per così dire “certificato”.
Il referendum, in definitiva, massimizza i costi politici delle divisioni e riduce la litigiosità,
Gli elettori, infine, hanno già dimostrato in diverse occasioni che vogliono unità, sintesi, visione univoca. E che sono disposti a premiare - la lista dell’Ulivo docet - chi riesce a trasmettere questi valori.

7. Il referendum non è contro i piccoli partiti e contro il pluralismo?
Questo referendum non è contro nessuno. E, soprattutto, non è contro il pluralismo. Semmai è per un’Italia moderna e dinamica. L’obiettivo di indurre diversi soggetti politici a fondersi in grandi partiti non impedisce alle istanze minoritarie di avere un loro ruolo all’interno degli stessi. In tutte le grandi democrazie, anche laddove a contendersi la possibilità di governare sono soltanto due o tre partiti, sono presenti anime e correnti diverse all’interno di essi. Il fatto poi che si scoraggi il multipartitismo estremo non è da biasimare. È sin dall’epoca dell’Assemblea costituente, infatti, che si deprecano l’instabilità e la frammentazione dei governi di coalizione.
Il sistema elettorale che risulterebbe dall’approvazione dei quesiti referendari è una sfida per tutti i partiti, grandi e piccoli. Questi ultimi, in particolare, si troverebbero a dover scegliere se difendere le proprie istanze all’interno di partiti più ampi, arricchendo, in un processo di sintesi, l’identità degli stessi, ovvero concorrere autonomamente nelle elezioni, cosa che rimarrebbe comunque possibile, previo superamento delle soglie di sbarramento (del 4%e dell’8%). Sarebbe, in altre parole, comunque garantito a chi decidesse di competere al di fuori dei partiti unitari la possibilità di un ampio “diritto di tribuna”.

8. Non si tratta di un’iniziativa astratta d’ingegneria costituzionale?
Lo strumento referendario, per sua natura, non può introdurre nuove leggi, ma soltanto abrogare singole norme di leggi già esistenti. E se si riesce a far ciò in modo tale che la c.d. normativa di risulta sia migliore della precedente, può forse parlarsi di “ingegneria costituzionale”, ma la definizione non sarebbe affatto offensiva.
Basti, in tal senso citare, l’incipit di un saggio di Sartori (Ingegneria costituzionale comparata): “Bentam disse una volta che i grandi ‘motori’ (engines) della realtà sono la punizione e il premio. E sicuramente ‘ingegneria’ (engineering) deriva da engine. Mettendo assieme metafora e etimologia, sono arrivato a ‘ingegneria costituzionale’ per rendere l’idea, primo che le costituzioni sono qualcosa di simile a macchine o meccanismi che devono ‘funzionare’ e che devono dare comunque risultati; e, secondo, che è improbabile che le costituzioni funzionino a dovere (come dovrebbero), a meno che non impieghino i ‘motori’ di Bentham, e cioè punizioni e premi.”
Se con l’espressione “ingegneria costituzionale”, cioè, si allude alla circostanza che, mediante, la c.d. “tecnica del ritaglio” si interviene sulla legge elettorale ricavando, legittimamente, un sistema migliore di quello vigente, non mi dispiace affatto essere considerato un ingegnere costituzionale.

9. È  giusto esautorare il Parlamento in una questione così delicata?
Il Parlamento non viene affatto esautorato. Il referendum è strumento nella disponibilità del corpo elettorale per esercitare un’azione abrogativa sulle leggi, ma ciò non toglie che l’organo legislativo resti pur sempre e pienamente titolare del potere di disciplinare le materie che ne formano oggetto, nel caso di specie il sistema elettorale. Piuttosto, tale strumento di democrazia diretta si dimostra idoneo a stimolare il dibattito politico sull’argomento, con la possibile conseguenza, addirittura, di propiziare un eventuale intervento legislativo, e non già di tagliare fuori il Parlamento.
Certo, se il Parlamento non sarà in grado di fare una buona riforma e rimarrà paralizzato da veti incrociati, dovremo dire grazie al cielo che c’è lo strumento del referendum.
Aggiungo che questo referendum ha la pretesa di intercettare una spinta al cambiamento al già esistente nella società. Il processo di aggregazione nel Partito democratico e la e la prospettiva della nascita del Partito dei moderati sono il segno che l’attesa di unità è molto forte nella società. Il referendum è uno strumento per dar voce a questo desiderio.

10. Quindi il referendum non riguarda solo la legge elettorale?
No, il referendum esprime un’idea della politica e della società, come società aperta e fondata sulla competizione, sulle qualità, sulla valorizzazione dei meriti e delle opportunità. Una società in cui ogni cittadino si possa sentire artefice del proprio destino.

Intervista a Giovanni Guzzetta, Presidente del Comitato promotore dei referendum elettorali
A cura di Tina Giunta e Nicolle Purificati

 

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5 maggio 2009 2 05 /05 /maggio /2009 21:07
Fascia d'età tra 0 e 10 anni più colpita, elaborato "manifesto"

Il 5 maggio è la giornata nazionale contro la pedofilia e Telefono Azzurro ha tracciato un quadro del fenomeno con i dati provenienti dalle linee d'ascolto di Telefono Azzurro (1.96.96 e 199.15.15.15), dal 114 emergenza infanzia e dall'hot 114. La classe d'età 0-10 anni è la più presente tra le vittime di abusi, nel 22,6% dei casi si tratta di ragazzi tra 11 e 14 anni e nel 14,8% di adolescenti dai 15 ai 18 anni, la maggior parte avviene in famiglia (quasi il 60%). I dati dell' hot 114, il servizio gestito per la denuncia di situazioni relative a contenuti illegali e dannosi per bambini ed adolescenti su Internet, pur registrando un incremento esponenziale nelle segnalazioni (dalle 591 del 2006 alle 1444 del 2008), rimangono anonime nell'81,8% dei casi. Nel caso degli abusi sessuali spicca la responsabilità del padre (32%) ma sono stati identificati come presunti responsabili, anche nonni 7% ed altri parenti 7%, amici/conoscenti (7%) o persone estranee (12,8%). In Italia la frammentazione dei dati tra osservatori di natura istituzionale e associativa non permette di giungere ad una quantificazione attendibile ed univoca dei fenomeni indagati. Per questo Telefono Azzurro ha elaborato un nuovo "manifesto" contro la pedofilia. Innanzitutto monitorare i tempi e gli esiti dei procedimenti penali, prevedendo misure per ridurre i tempi di svolgimento e definizione. Bisogna garantire che la testimonianza del bambino sia sempre raccolta da professionisti esperti, specificatamente formati e che la scelta degli esperti e dei periti avvenga in base solo alle competenze acquisite nel lavoro con bambini e adolescenti e nell'ambito della valutazione degli abusi. In questo senso, si ritiene indispensabile l'istituzione di un albo. Bisogna poi garantire che l'ascolto a fini giudiziari di bambini e adolescenti nei casi di reati sessuali si svolga sempre in luoghi "neutri" (diversi dai luoghi della giustizia) e che sia prevista sempre, per ogni attività tecnico-specialistica la videoregistrazione. Inoltre, è necessario elaborare un testo comune, in linea con gli standard internazionali, capace di guidare i professionisti nella fase di valutazione e di raccolta della testimonianza. E' necessario introdurre nel nostro ordinamento il reato di adescamento dei minori, con attenzione alle modalità di approccio dei minori di 16 anni rese possibili dalle nuove tecnologie (Internet, chat line, social network, sms e mms). Occorre poi introdurre il reato di "pedofilia culturale", al fine di contrastare l'apologia e il sostegno alla pedofilia realizzati tramite Internet o per altre vie. Sul turismo sessuale non bisogna permettere che il presunto autore della violenza non possa eccepire quale discriminante l'ignoranza della minore età della vittima. Bisogna inoltre prevedere che venga punito chi va all'estero per esercitare la prostituzione minorile e permettere le intercettazioni. Red-Mon 051322 mag 09

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  • : Tutti contro.......!!!! by clod
  • : La pressione dell’omologazione, l’egoismo altrui lo hanno spinto verso la più triste e irreversibile delle scelte Con lui si è chiusa l’epoca degli ideali della società nuova. Ora, in questa fase di passaggio, dove il ricordo di quegli ideali fluttua nell’aria, sta a noi restituire fiato alle travolgenti spinte del secolo scorso.
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