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23 marzo 2009 1 23 /03 /marzo /2009 17:05
   

Nonostante coscienza del nesso tra cambiamenti climatici e attività umane, c’è chi non è d’accordo. Chi sono i negazionisti del cambiamento climatico? Sono davvero così numerosi o sono i media a distorcere determinate notizie in cerca del titolo sensazionale?

 

Riscaldamento globale, cambiamenti climatici, responsabilità umane. Dopo decenni di disinteresse su questi temi, liquidati come profezie catastrofiste, negli ultimi anni si è andata consolidando una maggiore coscienza della responsabilità delle attività umane nei cambiamenti del clima. Ma non tutti sono d’accordo.

Chi sono i negazionisti del cambiamento climatico, e su quali ipotesi scientifiche poggiano le loro convinzioni?
Sono davvero così numerosi o sono i media ad amplificare determinate notizie in cerca del titolo sensazionale?
Cerchiamo di capirlo attraverso alcuni esempi tratti dagli avvenimenti degli ultimi mesi.

Prendiamo la notizia diffusa dal Corriere della Sera a gennaio, secondo cui i ghiacci artici erano tornati all’estensione del 1979, riportata tra gli altri da This Planet Is Wonderful:

Il livello dei ghiacci artici è tornato ai livelli del 1979. Lo rivelano i dati, per certi versi sorprendenti, del Centro di Ricerca sul Clima Artico dell’Università dell’Illinois. Nei primi mesi del 2008 - riferiscono gli studiosi - la superficie ghiacciata aveva subito una forte riduzione, tanto che qualcuno aveva predetto la scomparsa totale dei ghiacci artici entro l’anno. Ma nei mesi invernali i territori ghiacciati sono aumentati velocemente invernali riportando i livelli a quelli di 30 anni fa.

In molti, sia sulla carta stampata che nella blogosfera, hanno tratto la conclusione che non sia in atto nessun cambiamento climatico, o che comunque il fenomeno sia in rapida regressione . Ma da più parti sono arrivate le risposte che hanno cercato di contestualizzare meglio il fenomeno. Scrive Figlio delle stelle:

Riflettere sui dati forniti dal NSIDC è quanto mai opportuno, dopo il clamore sollevato un mese fa da alcuni scienziati negazionisti dell’effetto serra, secondo cui i ghiacci artici erano tornati quasi ai livelli del 1979, contraddicendo gli allarmi di quanti, invece, sostengono il loro continuo regresso. L’equivoco si è originato dal fatto che, nei primi giorni di gennaio, le quotidiane foto da satellite, per altro visibili a tutti sul sito del NSIDC, mostravano una coltre bianca su ampie regioni di Mare Artico che, negli ultimi anni, non erano state ricoperte dai ghiacci, neppure durante la stagione invernale. Ma si trattava di un fenomeno temporaneo, favorito da eccezionali condizioni meteorologiche. Tanto che già nella seconda metà del mese l’avanzata dei ghiacci si è arrestata. Di fatto, tirate le somme relative al mese di gennaio 2009, è risultato che la massima estensione dei ghiacci marini artici è stata di 14,08 milioni di km quadrati. Essa, pur risultando 310 km quadrati maggiore rispetto a quella del gennaio 2008, rimane tuttavia ben 760 km quadrati inferiore alla media di riferimento calcolata sul periodo 1979- 2000 (sempre relativa al mese di gennaio).
D’altra parte, se si guarda la curva che rappresenta gli alti e bassi stagionali dell’estensione dei ghiacci artici nell’ultimo trentennio, cioè da quando si dispone di dati raccolti dall’orbita terrestre grazie ai satelliti artificiali, è evidente la tendenza alla diminuzione, malgrado alcune brevi fasi di recupero.

Prosegue Voce della Natura:

L’osservazione satellitare della banchisa infatti ci fornisce indicazioni soltanto sulla sua estensione orizzontale e non sull’età o profondità dei ghiacci, dati che sarebbero più confortanti e meno legati alla situazione climatica del breve periodo. Inoltre quello che è più importante monitorare è la calotta, ovvero i ghiacci terrestri che se continuassero a sciogliersi causerebbero l’innalzamento del livello dei mari.
I giornalisti e i direttori di notiziari che hanno pubblicato la notizia dovrebbero provare a far sciogliere un cubetto di ghiaccio galleggiante in un bicchiere d’acqua, esempio portato dall’autore dell’ articolo su Greenreport; noterebbero che il livello del liquido rimarrebbe sempre lo stesso.
E la banchisa altro non è se non un grosso cubetto di ghiaccio galleggiante il cui scioglimento non influirà mai sul livello del mare.

In realtà la notizia, data in pasto all’opinione pubblica con troppa faciloneria, proviene da un articolo di Michael Asher, notoriamente scettico in merito alle variazioni climatiche, pubblicato sul blog Daily Tech in seguito ad un’intervista a Bill Chapman, ricercatore presso l’Università dell’Illinois, che però non aveva fatto altro che spiegare le motivazioni alla base dell’aumento di estensione della banchisa. Non è nemmeno stato pubblicato alcun nuovo studio dall’ Arctic Climate Research Center.

Tra l’altro, come dimostra il grafico pubblicato su Greenreport, sarebbe più giusto dire che l’estensione massima della banchisa nel 2008 è quasi uguale a quella minima del 1979, anno in cui si erano probabilmente verificati un autunno ed un inizio inverno particolarmente caldi.

Parte degli scettici sul cambiamento climatico si è riunito in conferenza a inizio marzo, come racconta Ecoblog:

Secondo l’ex astronauta Harrison Schmitt, che ha fatto un allunaggio ed è stato Senatore in New Mexico, i cambiamenti climatici non sono causati dall’uomo.

Di questa sua idea ne parlerà alla conferenza dei 70 scettici sui cambiamenti climatici che si terrà a New York dall’8 al 10 marzo

Schmitt sostiene che gli scienziati siano sotto intimidazione da parte del resto della comunità scientifica, se solo si mostrano in disaccordo con l’idea che:

la combustione di combustibili fossili abbia aumentato i livelli di biossido di carbonio, le temperature e il livello del mare. Tra l’altro hanno anche visto molti dei loro colleghi perdere finanziamenti quando non hanno sostenuto, con il cosiddetto consenso politico, il principio per cui sia l’uomo a causare il riscaldamento globale.

Schmitt si è dimesso dal The Planetary Society, una associazione no-profit che si dedica alla esplorazione nello spazio, fatto che ha convinto Dan Williams direttore dell’Heartland Insitute che ospita la conferenza degli scettici ad invitarlo ai lavori.

E nella sua lettera di dimissioni Schmitt ha scritto:

La paura del riscaldamento globale viene usata come uno strumento politico per aumentare il controllo del governo americano su vita, reddito e potere decisionale.

Tuttavia sembra che una discreta responsabilità nel diffondere una percezione distorta del problema ce l’abbiano i media. E’ l’opinione tra gli altri anche di Stephen Schneider, climatogo dell’università di Stanford. Scrive Ecologiae:

Schneider, in una relazione del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici, chiede che i media si occupino maggiormente del riscaldamento globale, che si discuta di questo e di altre questioni:

La scienza non è politica. Non è possibile ottenere solo due opposti punti di vista e pensare di aver lavorato diligentemente. Esistono molteplici punti di vista, ed ognuno gode di relativa credibilità, ma il problema è che il giornalista delle volte non capisce cosa è credibile e cosa non lo è. Il problema è che solo la CNN ha formato una squadra di giornalisti scientifici preparati sulla materia. Perché le testate non formano redazioni per l’ambiente così come le hanno sull’economia o sullo sport? Perché non inviano i loro giornalisti ai grandi avvenimenti sul clima così come coprono il Superbowl?

Sono bastate queste poche righe per far capire come mai il problema dell’ambiente spesso preoccupa soltanto poche persone, magari che si informano esclusivamente sulla rete o partecipano in prima persona alle verie manifestazioni. Giustamente, se in ogni telegiornale, purtroppo non solo negli States, ma anche in Italia, si dedicano solo 5 secondi a questo genere di notizie, o poche righe sui quotidiani nazionali, è ovvio che la gente comune metta questa problematica in secondo piano.

Schneider però ce l’ha anche con gli scienziati stessi. Molto spesso le loro spiegazioni sono vaghe, molto tecniche, e difficilmente si trova qualcuno che le “traduca” nel linguaggio quotidiano. Così le alternative che rimangono alla gente comune sono due: imparare bene l’argomento andando a leggere articoli specialistici, o ignorare il problema.

Riflette sul tema della divulgazione e dei rischi dell’eccessiva semplificazione anche Antonello Pasini su Il Kyoto fisso:

il problema del rapporto tra risultati scientifici e loro comunicazione nasce probabilmente a monte, nella carenza di cultura scientifica nella popolazione italiana e in un “ambiente” giornalistico incline a cercare sempre la notizia/scoop e a voler mettere più o meno artificialmente in contrapposizione alcuni risultati scientifici, relegandoli così al rango di “opinioni”.

E ritornando sul tema in un post successivo:

In queste condizioni, allora, come si può orientare l’uomo della strada di fronte al “bombardamento mediatico” su questi temi? Evidentemente, se non si possono leggere direttamente le fonti, sarà bene dare credito a chi queste fonti le ha scritte, cioè agli scienziati che si occupano effettivamente di clima.

In questo senso vorrei notare che è apparso recentemente un breve articolo di due ricercatori americani che sintetizza i risultati di un sondaggio effettuato tra 3146 scienziati delle maggiori istituzioni che si occupano di scienze della Terra, soprattutto negli USA ma non solo. Il lavoro è interessante in quanto ci permette di capire come variano le risposte a due semplici quesiti con la conoscenza più o meno dettagliata del sistema clima da parte di questi scienziati.

Lasciando alla lettura dell’articolo e al comunicato stampa dell’Università dell’Illinois (ripreso integralmente da ScienceDaily) per ulteriori approfondimenti, vorrrei solo discutere brevemente quanto si evince dalle risposte alla semplice domanda: “Pensate che l’attività umana rappresenti un fattore di contributo significativo al cambiamento delle temperature medie globali?”. La figura seguente sintetizza queste risposte per le varie “classi” di scienziati, mettendole anche a confronto con quanto trovato da un altro studio per le risposte della gente comune.

Climate_consensus Ebbene, tutti gli scienziati hanno maggiori percentuali di risposte Yes alla domanda rispetto alla gente comune, ma in particolare le percentuali aumentano passando dagli scienziati che non si occupano e non pubblicano espressamente su temi di climatologia a quelli che pubblicano su vari temi di scienze della Terra, fino a quelli che pubblicano regolarmente sul problema dei cambiamenti climatici. Come dire, man mano che aumenta la conoscenza del sistema, si è più sicuri e si ha meno incertezza relativamente alla rilevanza dell’impatto umano sul clima…


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